turismo accessibile

Turismo accessibile? No, grazie!

“Ho fatto un corso sul Turismo Accessibile.” – “Ah, sì il Turismo Sostenibile.”

Non sto raccontando una barzelletta, ma quello che succede ogni volta che parlo di turismo accessibile.

Le persone, compresi gli operatori, non sanno che cosa voglia dire questo termine.

E quasi sempre viene confuso con il turismo sostenibile, con cui non ha niente a che vedere.

Così dopo le prime volte che mi sentivo dire sempre la solita frase, ho capito che dovevo rispondere in un altro modo: “… Turismo Accessibile, che non riguarda soltanto i disabili, ma comprende gli allergici e gli intolleranti, gli anziani, le famiglie con bambini piccoli, insomma tutte quelle persone che hanno difficoltà nella fruizione dei servizi turistici. Per intenderci anche una persona che deve portare le stampelle”.

Con questa risposta non dò più adito a nessun equivoco o fraintendimento.

Turismo Accessibile = Turismo per Tutti

Il turismo accessibile si occupa dei turisti che presentano disabilità, ma non riguarda i disabili in senso stretto. Infatti vengono inclusi gli allergici, gli intolleranti, gli anziani, le famiglie con bambini piccoli,… Insomma tutte quelle persone che hanno difficoltà, sia permanente sia temporanea, nella fruizione dei servizi turistici.

Turismo per tutti è un’altra definizione che viene data a questo tipo di turismo, se così lo vogliamo chiamare.

Se ci pensi bene rivolgersi ai turisti che non sono normodotati, ti aiuta a migliorare il servizio e quindi a rivolgerti a qualsiasi tipo di clientela a prescindere dalle condizioni fisiche o psichiche.

Faccio un esempio. Se davanti l’ingresso dell’hotel metti una rampa, anziché degli scalini non agevolerai soltanto le persone in sedia a ruote. Pensa a quanti clienti entrano con i trolley, evitando di fare le scale, oppure ai clienti che devono spingere un passeggino.

Pura utopia

Quale utopia? Quella di far capire agli albergatori la fetta di mercato che si stanno perdendo.

Il problema è che se si pensa a un disabile, si pensa a quelle persone con malattie gravi che forse in vacanza nemmeno vanno e ci si dimentica facilmente di tanti altri che possono permettersi una vacanza.

Disabilità è ancora oggi sinonimo di “pietà” e “compassione”, qualcosa che sfocia nel sociale più che in una risposta ad un bisogno specifico.

Quando ho svolto una docenza in due classi quinte dell’alberghiero Panzini di Senigallia, ho esordito con un giochino, se così vogliamo chiamarlo.

Ho scritto sulla lavagna la parola “Disabilità” e ho chiesto agli alunni di dirmi le parole o le frasi che associavano ad essa.

Beh, quello che è venuto fuori è a dir poco sconcertante, seppur scontato. Hanno parlato di pietà, hanno detto “poverino”, si parlava di “malattia”.

Parla così a chi si gira tutto il mondo sulla sedia a ruote!

Conclusioni

Le mie conclusioni è che siamo ben lontani ancora dal fare qualcosa di serio in Italia, se continuiamo a ragionare in questa maniera.

Bisognerebbe staccarsi prima di tutto da pregiudizi e stereotipi che nel 2012 mi sembrano un po’ superati.

Tanti si danno da fare e a volte riescono a fare veramente grandi cose, ma tutti gli altri dove sono?

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